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22/05/2023 di Massimo Calia Di Pinto

UNA TRAGEDIA GRECA IN FRETTA E FURIA, MA IN GIACCA E CRAVATTA

Tanto Popolizio, poco Miller, nella nuova “riedizione” di Uno sguardo dal ponte del drammaturgo statunitense andato in scena a Bari per la stagione del Teatro Pubblico Pugliese dal 13 al 16 aprile 2023

Applausi scroscianti al Teatro Piccinni di Bari per Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller con la regia di Massimo Popolizio e la traduzione di Masolino D’Amico.

Tra il pubblico, molte facce visibilmente liete. Insomma, un successo anche grazie alla maestria degli attori (oltre Popolizio: Michele Nani, Valentina Sperlì, Gaja Masciale, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli, Marco Parlà, Felice Montervino, Marco Maravacchio e Gabriele Brunelli) e alle scene di Marco Rossi, alle luci di Gianni Pollini e al suono di Alessandro Saviozzi.

Il dramma, ispirato a un fatto di cronaca, è ambientato in una comunità d’immigrati italiani in un quartiere di Brooklyn: Eddie Carbone dà ospitalità nella propria casa a due clandestini siculi, Marco e Rodolfo, cugini della moglie Beatrice, e l’amore tra Rodolfo e Catherine, nipote minorenne di Eddie, disvela a poco a poco il vero sentimento dello zio verso la fanciulla e spiana la via alla catastrofe. A guidare lo spettatore è la figura narrante dell’avvocato Alfieri, che invano tenta di comporre arcaici conflitti tra opposte leggi (Stato, istinto, onore-omertà). Il dramma agita anche temi sociali, ma l’afflato dominante è la tragedia dove la volontà dell’uomo nulla può contro la legge del fato.

La versione di Popolizio guarda dichiaratamente a “tutto il materiale” che il testo ha generato dopo la sua prima rappresentazione a New York nel 1955, “cioè film, fotografie, serie televisive”, da lui definiti “figli” dell’opera drammaturgica.

Probabilmente è per tale sguardo ai figli che molto si è perduto del padre: l’opera di Miller.

Il che però non spiega – né giustifica – l’enorme, incolmabile, solco che Popolizio ha scavato tra il dramma milleriano e la sua messa in scena, scegliendo di eliminare, non soltanto dialoghi importanti e riflessioni che, nel capolavoro milleriano, avevano la funzione d’impalcare, nella cornice d’un fatto di cronaca, la dimensione universale della tragedia, ma anche una lunga lista di personaggi. Scompaiono Mike, il macellaio Lipari e consorte, i due clandestini giunti da Bari (nipoti di Lipari) e, con essi, scompare il momento in cui Eddie prende coscienza della propria colpa di fronte alla comunità e ai propri principi morali. Scompare il tema della colpa collettiva. Ma soprattutto scompare la gente del vicinato (la comunità) e con essa la dimensione corale della tragedia.

A uscirne ridimensionati sono anche i personaggi superstiti, a partire da quello principale: Eddie, scaricatore di porto ma che Popolizio sceglie inspiegabilmente di vestire con impeccabili giacca e cravatta, e a cui imprime un registro monocorde, sempre acceso e canzonatorio, con voce perennemente strascicata, anche quando la zuccherata disinvoltura da padrone di casa avrebbe dovuto cedere il posto al dolce-amaro, al nostalgico, al presagio, alla sconfitta.

Il finale stesso viene completamente stravolto, con personaggi letteralmente capovolti rispetto a quelli milleriani: non più una Beatrice che accetta la propria sottomissione al marito, ma una Beatrice che gli si ribella contro, lo insulta, lo accusa, e pronuncia frasi e compie gesti appartenenti rispettivamente a Caterina e a Marco; non più un Eddie sconfitto tragicamente da un fato a lui ignoto e imponderabile, ma un Eddie che sceglie il proprio destino e l’ottiene (quindi l’opposto del tragico).

Alla fine resta la sensazione che la tragica complessità del testo e dei temi trattati solo in parte abbia trovato sbocco nella regia di Popolizio, svanendo tra le feritoie del grottesco e di un affastellamento di generi (dal parodico al comico al musical) in cui, indistintamente, tutti i personaggi gridano (o ridono crassamente), resi convulsi da una fretta palpabile di tempi e azione scenici, soprattutto incapaci di far risuonare l’intera gamma dei propri sentimenti e conflitti interiori.

Non a caso, i momenti più affascinanti dello spettacolo (che non mancano) sono quelli in cui la regia di Popolizio riesce a fermare l’azione in veri e propri fotogrammi sospesi nel tempo: ossia quelli in cui regala al pubblico, più che la forza straniante e parlata del teatro, la magia toccante del cinema muto.

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