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06/12/2023 di Mariantonia Capriglione

AMAE. NON UNA STORIA D’AMORE

Una donna, a un certo punto dello spettacolo, è stesa a terra in posizione prona, il viso rivolto verso la platea. È scalza. La luce fioca riflette particolarmente sulla pelle chiara dei piedi e del volto. Dietro di lei un uomo, accovacciato, le afferra con estrema delicatezza la spalla, sollevandola lentamente per far girare il corpo verso di lui.

Man mano che il busto della donna ruota all’indietro la luce la irradia, ne fa risaltare le forme. L’unica cosa che, con il movimento, entra nel buio è il suo volto. Sembra quasi che l’uomo stia guardando un corpo senza testa, quasi come si stesse specchiando nell’abisso.

In un periodo in cui siamo costantemente tempestati da notizie di femminicidi e violenze nei confronti delle donne, al Teatro Traetta di Bitonto arriva Amae. Lo spettacolo ha aperto, domenica 3 dicembre, la rassegna di danza contemporanea del Network Internazionale Danza Puglia, L’Arte dello Spettatore 2023-24 sostenuta dal Comune di Bitonto e dal Teatro Pubblico Pugliese.

L’attualità della tematica viene portata sul palco in maniera potente, nonostante la scena non risulti mai violenta. L’inquietudine è tangibile, anche nei momenti di tenerezza si ha la percezione che qualcosa stia per accadere.

Sembra di essere coinvolti in prima persona: come una vittima rannicchiata in un angolo buio di una stanza sperando non accada l’inevitabile, come se ci si ritrovasse in una strada isolata con i propri passi che rimbombano nel buio mentre guardinghi ci guardiamo le spalle o, peggio, come fossimo dei voyer che osservano il tutto da una finestra senza muovere un muscolo per salvare la situazione.

Non fa freddo eppure, mentre sul palco i due corpi si muovono con grande energia, mentre avvertiamo i respiri sempre più affannati dei danzatori, mentre vediamo il sudore brillare alla luce dei fari sentiamo gelare il sangue.

ph David Kalwar-min

Perché, nonostante tutto, la donna torna dall’uomo? Perché gli si abbandona contro? Perché lo abbraccia quasi a volerlo rassicurare?

Amae è una parola giapponese utilizzata per spiegare il comportamento di una persona che cerca di indurre un altro individuo a prendersi cura di lei; può farlo anche alimentando il senso di colpa, consapevole che l’altra parte saprà perdonare ed essere accondiscendente.

Siamo così spaventati dalla solitudine e abbiamo così tanto bisogno di donare amore, da non voler vedere quando quello che sembrava fosse amore in realtà sia un rapporto malato. Siamo così spaventati dalla solitudine e abbiamo così tanto bisogno di sentirci amati, da accettare anche i lati più tossici della persona che dovrebbe sostenerci ma che, alla fine, ci indebolisce o annulla.

Questo vogliono indagare in scena Eliana Stragapede e Borna Babić con la produzione italo-croata Amae vincitrice al Copenhagen International Choreography Competition 2022 e al Production Awards del Nederlands Dans Theatre di Holstebro Dansekompagni, premiato inoltre al Rotterdam International Choreographic Competition 2023 e con i Partner Awards di Codarts e Dansateliers.

Lo spettacolo si compone di quattro quadri. Inizialmente l’uomo è steso a terra e la donna, in piedi, vestita di tutto punto, comprese le scarpe, indossa un giubbino.

David Kalwar-min

Il secondo quadro si apre con la donna stesa a terra, senza giacca e senza scarpe, sembra priva di vita. L’uomo la volta, è delicato mentre lei totalmente incapace di mantenere una posizione eretta segue gli impulsi del partner per poi tornare, in una perfetta esecuzione in slow motion, nella posa iniziale. Danzano insieme, con movimenti fluidi. Lui la sorregge, la blocca e la porta in alto. Sembra di vivere una scena eseguita al contrario, come se quello fosse il momento di violenza che ha portato, poi, il corpo esanime di lei a giacere sul pavimento.

Il terzo momento, come un flashback, riprende il primo. I due si alternano, ognuno con il proprio assolo fatto di movimenti sincopati, veloci, improvvisi. Babić (danzatore e coreografo, lavora con Olivier de Sagazan e fa parte di Ultima Vez / Wim Vandekeybus dal 2019) sembra danzare un incubo, come volesse espiare le sue colpe. Si muove fino allo sfinimento portando il suo corpo al limite. La Stragapede (danzatrice e coreografa, fa parte della compagnia di teatro-danza Peeping Tom ed è stata, inoltre, coinvolta in due produzioni di Club Guy & Roni e Navdhara India Dance The) ci fa entrare nei suoi pensieri: paura, impotenza, sgomento. Incapace di fare qualsiasi cosa, immobile, eppure si muove. Quando i due tornano a danzare insieme sembra che l’uomo voglia rassicurarla. Tipico della sindrome di Stoccolma la vittima si concede al carnefice. Finiscono, così, a terra, in un abbraccio intenso, nel silenzio interrotto dai loro respiri.

Quando la musica evocativa e quasi spirituale di Nenad Kovačić e Nicholas Britell riempie il teatro i due ballano insieme, come due giovani innamorati al loro primo lento. Sorridono, si guardano. Eppure, scivolano, senza cadere perché sostenuti sempre dall’altro. Forse la loro storia è cominciata così, per caso, a una festa, durante un ballo, in un momento di spensieratezza che però, la musica lo suggerisce con un elemento sonoro stridente che non disturba ma è persistente, non ha nulla a che fare con l’amore.

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