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09/05/2024 di SERENA DISCANNO

DI COSA PARLA LA MADRE?

Anna che si sente abbandonata da tutti.

Anna che ha preso un vestito rosso.

Anna che è ossessionata dalla vita dei figli.

Anna che è ossessionata dalla sua stessa vita.

Nel giorno della sua prima replica (avvenuta il 18 aprile) lo storico teatro barese Niccolò Piccinni, ha accolto sulle sue 850 poltrone rosse,quasi tutte occupate, lo spettacolo di prosa La Madreche da un anno gira l’Italia. Questa è la prima rappresentazione italiana dell’opera grazie alla volontà dell’attrice barese Lunetta Savino. La stessa ha confessato durante un’intervista svolta dagli studenti del DAMS di Bari che il testo l’ha subito affascinata e per molto tempo ha cercato un regista in grado di portarla in scena al meglio.

La vediamo quindi nel ruolo della protagonista, accanto a lei Andrea Renzi in quello del padre, Niccolò Ferrero nella parte del figlio e Chiarastella Sorrentino in quello della ragazza.La pièce, prima della “Trilogia sulla famiglia” di Florian Zeller, scrittore, drammaturgo e regista francese, vede alla regia Marcello Cotugno. La storia, sintetizzata in un atto unico, viene raccontata mediante una serie di frammenti.

È uno spettacolo che sembra indagare con accuratezza il tema dell’amore materno: Anna, la madre protagonista, è ossessionata dall’abbandono di suo figlio Nicola che, essendo un ragazzo di venticinque anni, vuole vivere la sua vita con Elodie.

Anna ha bisogno di ricevere attenzioni; la sua mente ospita, paure e convinzioni paranoidi che la portano a vivere una condizione di alienazione e di completo annullamento di sé stessa. Vivesituazioni irrealistiche, proiettate da sensi di colpa, frustrazioni e rimpianti. Vengono messe in luce alcune caratteristiche dei membri che costituiscono la famiglia: il padredà l’idea di essere esausto, il figlio vive la madre come una figura soffocante.

Anna contribuisce alla disfunzionalità della famiglia;suo marito sembra non tenere a lei, concentrato solo su sé stesso e sul suo lavoro. L’assenza-presenza di Pietro porta la moglie a vivere una condizione di noia che riempie con rituali, come maneggiare nervosamente un gomitolo e con la ripetizione di azioni abituali del passato,come preparare la colazione ai suoi figli. È proprio questo che lascia lo spettatore incapace di trovare una risposta, come se non riuscisse a capire quale sia la verità e a chi dare ragione; prova pena, guarda Anna con uno sguardo di tenerezza. Nel momento in cui alcuni tecnici srotolano un gomitolo rosso sulla scena la vediamoesaltata per l’arrivo del figlio, tornato dopo un litigio con la fidanzata,rompere quel senso di nevrotica routine con una simbolica rivoluzione dove balla, vestita in rosso, ricomponendo il gomitolo. È proprio Elodie, la fidanzata di Nicola a minacciare il rapporto madre-figlio.

Anna detesta Elodie perché è causa dell’allontanamento del figlio e perché in lei rivede Sara, figlia solo nominata, simbolo dell’indipendenza che lei non è mai stata in grado di ottenere.

La scrittura di pari passo con un’acuta regia gioca con lo spettatore: dapprima con il tono da black-comedy lo si mette a suo agio, sembra quasi una scena di teatro dell’assurdo, ma poi lo si porta alla confusione. A scandire la scena ci sono come stacchi, intermezzi in cui a portare avanti la narrazione sono giochi di luci, monologhi o semplici gesti quotidiani che trasferiscono il tutto su un piano onirico, accentuando le paranoie della madre. Lunetta Savinorestituisce, con il cambiare delle scene, le sfaccettature del personaggio: con un tono decisamente sopra le righee poi con una recitazione che rende la madre inquieta, ma mai pesantemente drammatica. 

Nelle ultime scene, Anna in preda alla follia sente così tanto l’odio da parte del figlio Nicola da immaginare che egli la uccida. Anche in questo caso però non si percepisce cosa è vero e cosa avviene nella testa di Anna, perché il regista tende a capovolgere continuamente quello che appare vero per sottolineare l’incomunicabilità tra i personaggi.

La scenografia di Luigi Ferrigno, fotografo veneziano, i giochi di luce ideati da Pietro Sperduti,i costumi di Alessandra Benaduce, sarta e costumista teatrale, guidano Anna in questo suo “cammino ossessivo verso la disperazione” puntando sulla percezione irrealistica del pubblico, che viene catturato non solo dalla recitazione accurata e sottile dei personaggi ma anche dalla scenografia.

Anna dice: “So distinguere tra sogno e realtà” percezione che viene capovolta a metà spettacoloda un enorme specchio mobile, che si inclina verso il pubblico, specchiando le prime file. Nel frattempo dalle casse si sente un suono simile a quello di un brusio di massa, che riflette un pubblico rimasto in silenzio per tutto il tempo. Tutta la scena è ambientata in una sala da pranzo, dove i protagonisti si muovono su un palchetto rialzato coperto da un pavimento traslucido che ospita cinque porte, caratterizzate da spessi stipiti che contengono delle luci led, comandate dalla regia; a completare la scena ci sono tre sedie, un tavolo e un frigo metallizzato.

La drammaturgia di Florian Zeller è frammentata, come cocci di vetro: taglienti, dispersi e difficili da riassemblare, come quelli di una bottiglia di vino, conservata nel frigo assieme a degli psicofarmaci. La bellezza arriva qui, i personaggipaiono torbidi, accentuati dal lavoro registico, che aiuta pubblico a entrare come spettatore nella mente della madre. Lo spettacolo appare così come una “soggettiva” della madre, che distorce la realtà con la sua psicosi. 

Il dubbio su cosa sia vero è accentuato dai giochi luce nelle cinque porte, che si illuminano seguendo le emozioni dei personaggi e delle vicende. Completano la scena occhi di bue che illuminano i personaggi nei monologhi e una luce blu di una piccola botola, dove è riposto un microfono a gelato, utilizzato dal personaggio di Anna per mettere in luce i suoi pensieri intrusivi, che diventano sempre più inquieti.

Per quanto riguarda i suoni, in un delirio della protagonista, inizia a crescere il suono di un bambino che parla, forse la voce di Nicolada piccolo e sono presenti varie basi musicali che forniscono una maggiore immedesimazione nella scena e anche canzoni di repertorio: Cradles, di Sub Urban, quando Anna indossa il vestito rosso,L’odore delle rose nella versione di Bianconi, in chiusura e Senza fine, di Gino Paoli durante gli applausi.

Lo spettacolo gioca con lo scontro complesso tra verità soggettiva, realtà oggettiva e finzione ossessiva. Questo scontro rimane ancora attivo nella mente dello spettatore chesi chiede se quel che ha visto sia accaduto o no, trovandosidavanti a un teatro contemporaneo, senza la ricerca di una stucchevole morale, che portimessaggi propagandistici o antropocentrici.

La scena commuove, scatena rabbia, provoca, seduce e suscita angoscia, accompagnando le sfumature dei quattro attori sul palco, in uno spettacolo psicologico e comico, che punta a lasciare il pubblico con un milione di domande senza nemmeno restituire un cenno di risposta.

Può la verità di un individuo, essere considerata realtà?

Anna crede che la sua lo sia.

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