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06/12/2023 di Alessandra Gaeta

Imperturbabile precisione? 

Siamo all’ultima serata del DAB della stagione teatrale del Teatro Pubblico Pugliese così come annuncia Gemma Di Tullio, responsabile programmazione danza. Il teatro è gremito di giovani danzatrici provenienti da diverse scuole di danza di Bari e provincia. 

Difronte a noi un palcoscenico vuoto, pronto per essere popolato, a terra un tappeto danza bianco e il fondale, anch’esso bianco. 

Le luci curate da Luca Serafini prendono piede e attendiamo qualche minuto prima di vedere il primo corpo entrare in scena. Si genera un po’ di silenzio. Questa attesa ha il sapore di una partita, di una competizione sportiva. Quello che accade prima che tutti i performer si posizionino in uno schieramento a cinque, pronti per iniziare questo ossequioso e impeccabile esercizio. Per prima, vediamo la danzatrice Roberta Racis, poi Francesco Saverio Cavaliere, a seguire Fabio Novembrini, Silvia Sisto e infine Siro Gugliemi. Tutti danzatori con accurate formazioni alle spalle: l’Accademia Nazionale di Danza di Roma e la Scuola del Balletto di Toscana.  Alcuni di loro sono eccellenti interpreti delle migliori compagnie e autori di danza contemporanea attivi sulla scena, tra i tanti ensemble ricordiamo MK diretta da Michele Di Stefano. 

Questi cinque performer decidono di fondare il Collettivo Mine, come loro stessi definiscono sul sito un esperimento collettivo, di creazione orizzontale la cui ricerca è fondata sulla condivisione di pratiche e la scrittura a dieci mani. Lo spettacolo in chiusura del DAB è Esercizi per un manifesto poetico

Spettacolo apparentemente facile, in effetti vediamo una pratica messa in scena, una partitura semplice e complessa allo stesso tempo. Sin dal primo momento questi cinque corpi vestiti di bianco, in sneakers bianche, sembrano appunto dei tennisti esperti. In effetti è come se lo fossero. Iniziano a saltellare mantenendo una imperturbabile aplomb, tipica degli sportivi alle olimpiadi. Saltellano in maniera identica, puntuale e senza mai perdere il metronomo dato dai loro passi. Le luci cambiano, lo spazio si modella grazie alla semplice geografia che creano appena viene intrapresa una diagonale e un disegno spaziale diverso. Ogni dettaglio è studiato in maniera tale da non perdere mai una virgola del passo, del salto, dell’orientamento del corpo. Quasi ginnica la performance, nulla è lasciato al caso. La musica cresce assieme alle luci e ai corpi che in maniera democratica e quasi sempre simmetrica occupano lo spazio. Poi a un certo punto una delle danzatrici lascia la scena. In un momento sempre preciso, calcolato, si ferma e per buona parte della performance non la vedremo più. Cosa sarà mai accaduto? Fa parte della scena? È l’unico momento irrisolto. Poi da quel momento in poi cambiano le luci, sembra essere un momento di resa dei conti. I performer rimarranno in quattro, si guarderanno e inizieranno una altra partitura coreografica altrettanto sapientemente scritta ed eseguita. Da questo secondo momento assisteremo a un maggior dialogo tra le luci e i quattro corpi che eseguiranno delle partiture più complesse e con reminiscenze dal sapore più tecnico, vedremo molte gambe alte, l’utilizzo dell’epaulement (posizione del corpo girata in diagonale rispetto al pubblico, e notiamo una leggera rotazione delle spalle rispetto al pubblico). Finirà così lo spettacolo, la formazione dei quattro danzatori che eseguono le ultime partiture nel buio e con il solo suono dei loro passi e del loro respiro. 

Fragoroso l’applauso, impeccabile e perentoria l’esecuzione.  

Uno spettacolo coerente con il titolo, un bellissimo esercizio, in realtà sembrerebbero diversi esercizi, davvero super ben eseguiti. Lascia a bocca aperta. Tanta resistenza a non demordere mai, a non mollare mai l’arte del salto, della tecnica, inserita in una partitura marziale e contemporanea. Dunque, qui ci si interroga sul manifesto. Forse la bellezza di questa esecuzione è proprio nell’essere crudamente un esercizio di imperturbabile precisione? O la voglia di essere dannatamente consapevoli di essere dentro un mondo il cui sistema ci assicura una democrazia fintamente egualitaria? Qualcuno però esce sempre di scena prima o poi. 

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