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13/11/2023 di Mariantonia Capriglione

ROMEO E GIULIETTA. UNA FAIDA TRA FAMIGLIE

Un uomo corpulento steso a terra. Accovacciato dietro di lui, come se gli stesse al capezzale, un altro uomo così contrito dal dolore da sembrare quasi rimpicciolirsi.

Sulla parte opposta della diagonale una folla urlante, che sorregge il peso di un uomo che viene ripetutamente pugnalato da un ragazzo. Pugnalata dopo pugnalata si consuma con ferocia il dolore di un giovane Romeo che, vendicando il suo amico, macchia per sempre il suo animo.

In scena da giovedì 9 fino a domenica 12 novembre presso il teatro Piccinni di Bari una delle più celebri opere shakespeariane “Romeo e Giulietta” (Romeo și Julieta) adattato e diretto dal regista pugliese Michelangelo Campanale nell’ambito della stagione teatrale Altri Mondi 2023_24. Una coproduzione internazionale della compagnia La Luna nel Letto, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale e Teatro Excelsior di Bucarest.

Luce in sala. Sipario aperto. La scatola nera è accentuata dall’abbassamento del soffitto restituendo un ambiente, almeno all’inizio, claustrofobico. Un tappeto chiaro definisce lo spazio scenico dedicato all’azione. Sui lati corti del palco vengono poste dodici sedie nere, sei per lato. Due leggii a proscenio, uno sull’estrema sinistra e uno sull’estrema destra. Fumo.

Lo spettacolo si apre con l’arrivo in scena di Frate Lorenzo, a cui viene attribuita anche la linea narrativa della vicenda. “In principio Dio creò la luce e separò la luce dalle tenebre. Dio creò la donna, Dio creò l’uomo e fu cosa buona. Dio creò William Shakespeare e fu cosa buona e giusta.” (testo tratto dal trailer dello spettacolo http://vimeo.com/807627913)

Shakespeare avrà, secondo la lettura del regista, la forza di un Dio.

Michelangelo Campanale, direttore artistico della compagnia teatrale La Luna nel Letto, si occupa di produzione artistica rivolta a un mercato nazionale e internazionale che produce e distribuisce spettacoli di Teatro ragazzi (con cui più volte vince premi tra cui l’Uccellino Azzurro e l’Eolo Award) e Prosa. Si mette alla prova, questa volta con un grande classico che si rivolge, principalmente, a una platea adulta. Portando in teatro una sacralità quasi religiosa sarà riuscito a non tradire quella del sommo Bardo?

Dopo aver nominato Shakespeare il prete si fa portavoce della vicenda. Mescola l’italiano all’inglese, diventando così ora prete, ora coro, ora principe.

Sulle parole del coro entrano in scena i dieci attori che compongono le due famiglie, tutti di nero vestiti. Montecchi rumeni. Capuleti italiani. Gli unici vestiti di bianco sono Romeo e Giulietta. 

Si fanno quadro tra i giochi di luce e ombra ricreati dai due Michelangelo dell’ensemble, Volpe e Campanale.

L’azione fisica sarà un elemento importante di tutto il lavoro, gli snodi principali della vicenda sono affidati quasi esclusivamente alle azioni coreografiche.  Guidati magistralmente dalla sensibilità di Vito Cassano (danzatore e coreografo) gli attori portano in scena la violenza della lotta, la goliardia della festa, la solennità di una processione e la quint’essenza dell’odio. I loro corpi sono precisi, puntuali, sicuri, plastici. Un lavoro maniacale in cui poco è lasciato al caso. In questo encomiabile è il lavoro dell’intero cast.

ph. Mariagrazia Proietto

Sempre attenta l’attenzione che Campanale rivolge all’uso del corpo; come lui stesso dice, il teatro deve riunire nello stesso posto tutte le discipline dell’arte.

Shakespeare, però, è soprattutto azione testuale. La parola viene fatta agire in tre lingue: italiano, rumeno e inglese (le lingue straniere sono sopra titolate); linguaggi che si mescolano tra loro in maniera organica e non destano problemi di comprensione. Il cast italo-rumeno è ben calibrato anche se spicca l’operato degli attori del Teatro Excelsior.

Lo spettacolo è diviso in due atti: la commedia e la tragedia.

La commedia ha la sua massima espressione con l’arrivo della regina Mab, diventa un ironico kamasutra danzato sulle note di Cuore di Rita Pavone a voler restituire la leggerezza dell’età adolescenziale. Leggerezza ripresa anche da un inaspettatamente istrionico Tebaldo che introduce la festa mascherata. Qui viene, però, a rompersi il linguaggio registico instaurato. Perché Romeo e Giulietta al loro primo incontro sono ai leggii se quelle posizioni sono dedicate alla linea narrativa? Perché la scelta di dividere i due amanti se non in un unico momento in cui si scambiano un bacio?

Romeo e Giulietta risultano essere i due grandi assenti nello spettacolo, fatta eccezione di Paride che nulla aggiunge e nulla toglie alla mise en scene. L’assenza dei due protagonisti risulta essere, però, dettata non dall’inefficacia attoriale, sebbene Romeo sia più vicino al ruolo del giovane adolescente rispetto a una ben più matura e poco capricciosa Giulietta, ma dalla riduzione drammaturgica che taglia tanto, forse anche troppo del testo shakespeariano. È come se la linea narrativa degli amanti fosse meno importante di quella dell’odio.

Evocativa è la scena del matrimonio in cui i soffitti si alzano completamente e svelano la presenza di un enorme crocifisso, simile a quello di Cimabue, che rimarrà lì per tutto il resto del lavoro.

La seconda parte è dettata dalla tragedia.

Potente l’arrivo dell’assassinio di Mercuzio ma ancor di più quello di Tebaldo in cui le parole di Romeo sono affidate a sua madre (come nella scena del balcone) che, però, è fuori dalla scena. Al leggio.

Interessante è la volontà di affidarle quel testo come se fosse l’odio della famiglia Montecchi a uccidere Tebaldo, ma perché utilizzare la linea esterna del narratore?

Poche le parole utilizzate da questo momento in poi. Quasi tutte le scene dei due amanti sono sostituite da un casto e per nulla volgare atto sessuale ai cospetti della grande croce che viene interrotto dalle due famiglie, un incubo in cui la quint’essenza dell’intera opera shakespeariana emerge.

Bellissima e potente immagine in cui, ancora una volta, sono l’odio e la violenza ad affiorare, non l’amore.

ph. Mariagrazia Proietto

Meno intensa è, invece, la morte dei due, anche lì mancano le parole. Qui Shakespeare viene tradito. Romeo si pugnala e non beve il veleno.

È qui che, nel testo, emerge la differenza tra i due personaggi. È più semplice bere un veleno e lasciare che quello agisca piuttosto che pugnalarsi al cuore. Tra l’altro importante è l’uso del veleno in Shakespeare perché si nota come Giulietta beva il veleno per continuare a vivere mentre Romeo lo beva per morire.

La fine del rito laico viene affidata sempre al prete che svela il suo compito di ripetere la storia, ancora e ancora, quasi come fosse finito in un girone dell’inferno dantesco per aver avuto la presunzione di risolvere la faida delle due famiglie.

Nel complesso lo spettacolo, nonostante alcune scelte, tiene l’attenzione costante per due ore ed è foriero di un messaggio di pace di cui oggi, come ieri, abbiamo bisogno.

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