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19/05/2023 di Ivana De Marco

TI PORTO A TEATRO

Intervista alla compagnia
IL COMPLEANNO (The Birthday Party)
regia PETER STEIN

Coordina l’incontro il Prof.Massimo Marino 

“Il Compleanno” di Harold Pinter, testo scritto nel 1957 e poi rappresentato nel 1958 in un teatro di Cambridge con esiti disastrosi, poi diventato un classico del teatro del Novecento. 

Analizzando il testo cosa si può dire? 

È un caposaldo del Teatro del Novecento, uno dei più belli di Pinter, – afferma Crippa – autore del Teatro della Minaccia, non va verso il pubblico, ma gli toglie completamente terreno sotto i piedi; il testo è particolarmente importante perché parla di un’omologazione assoluta, oggi con i mezzi che abbiamo siamo ridotti a consumatori muti”. 

L’autore nella rappresentazione viene rispettato? 

“È importante rispettare Pinter, ed esaltarlo – continua Crippa – il Teatro ha sempre una distanza, non è un demerito, Pinter è rispettato in quello che c’è scritto, da lì riverbera fino a noi”. 

Come si presenta il protagonista Stanley? 

“Stanley è un personaggio Borderline, che da un anno si è abbandonato al degrado – racconta Averone – che, in quanto pianista e quindi appartenente ad una sfera artistica, si inserisce meno in una quadratura che il sistema cerca di importi”. 

Com’è avvenuta la costruzione dei personaggi? 

“Pinter nel testo scrive tantissime didascalie – spiega Fogacci – dando delle indicazioni interpretative, che Peter invita a seguire, il lavoro di costruzione dei personaggi è un lavoro molto concreto e teatrale, Pinter si diverte a variare i generi da una scena all’altra: clownerie, dramma borghese, noir; tende a differenziare molto i registri, così si è creata una specie di composizione di varie tinte di ogni personaggio in relazione con l’altro”. 

Com’è stato il rapporto tra voi e il regista? 

“Ci sono anche dei punti misteriosi in tutti i personaggi – continua Fogacci – per cui Peter ci ha chiesto di scrivere una biografia dei nostri personaggi, prendendo spunto dai pochissimi elementi dati da Pinter, per creare un background; Peter lascia molta libertà, dice di essere dipendente dalle proposte dell’attore, inoltre punta a creare un ensemble che collabori”.

Perché alcuni termini sono rimasti in lingua originale? 

“Tutte le parole Yiddish, Peter ha voluto riproporle così, senza tradurle – spiega ancora Fogacci – perché la madre di Pinter era Ebrea e veniva dall’Ucraina, da un ceppo in cui si parlava un misto tra Ebraico antico, Tedesco, Russo e varie lingue”. 

Che significato va attribuito al soffio in bocca tra Goldberg e McCann? 

“Fa parte delle cose incomprensibili – afferma Sampaoli – anche per me che lo faccio, in quel momento è un ordine, lo faccio perché mi può succedere qualcosa di pericoloso, eseguo; – successivamente prende la parola Crippa – Lo fa perchè è scritto, il testo teatrale è considerato come un’opera d’arte, c’è una capacità di decodificarlo e di realizzare Pinter”. 

Come si spiega il rapporto tra testo e autore, tra intuizione e ragione? 

“Riguardo al perchè accadono certe cose – risponde Maraghini – io credo che Pinter non sia necessariamente un filologo o un saggista, è un artista che a un certo punto sente la necessità di mettere in segni ciò che lui sa cogliere, ma ciò non impedisce di applicare il sentimento e la sensazione, l’intuizione”. 

Cosa si può dire rispetto alla scrittura teatrale? 

“È vero che è un teatro di parola – sostiene Averone – ma lui scrive azioni, accadimenti che è una cosa fondamentale della scrittura teatrale, c’è un po’ una disabitudine da parte nostra e anche nella nuova drammaturgia a pensare alla scrittura teatrale, perché ci sono testi dove le battute raccontano gli stati d’animo di chi le sta dicendo, e ciò è tautologico ed è un danno per il teatro; la scrittura teatrale richiede che nello scambio delle battute dei vari personaggi succeda qualche cosa, da quello che diciamo si capisce cosa sta avvenendo”. 

Come è stato costruito il personaggio di Stanley? 

“All’inizio mi è stato chiesto che dalla prima entrata in scena si capisse che è un personaggio che ha dei problemi – risponde ancora Averone – c’è una parte più legata alla fisicità, come costruisci un personaggio che ha un’energia sempre in bilico, dall’altro lato c’è come rendere la catatonia; sono cose un po’ istintive e un po’ legate al rapporto che hai con il regista e con ciò che ti viene chiesto, è come muoversi all’interno di un percorso con dei paletti, che devi costruire con delle immagini che tu hai, con il tuo vissuto; C’è anche il talento – interviene Maraghini, concludendo l’incontro – quell’elemento di cui Sandro (Averone) è dotato in abbondanza”.

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